
L’ultimo saluto
di Filippo Bolaffi
Se per un figlio perdere un padre è un evento naturale ma comunque traumatico, doverne scrivere a caldo è altrettanto complicato. Nel mio caso, poi, alla memoria del genitore si unisce anche quella del capo-azienda, e nello specifico di colui che per oltre tre decadi ha diretto e controllato ogni virgola della rivista che avete adesso tra le mani. Visto che Alberto Bolaffi è stato uomo dalle mille sfaccettature nella vita privata, così come in quella pubblica, in questo editoriale desidero ricordarlo nel suo ruolo al contempo più odiato, per la quantità di ore che diceva di doverci dedicare, ma anche più amato, perché altrimenti non lo avrebbe fatto: quello di direttore del Collezionista. Per ricoprire questa carica era anche diventato giornalista, un titolo di cui andava orgoglioso e la cui tessera di iscrizione all’albo portava sempre con sé nel portafoglio.
Col passare degli anni, Il collezionista ha saputo rinnovarsi, adattandosi ai tempi e riflettendo le trasformazioni del mondo della filatelia. Oggi, nell’era di internet, è un trimestrale di storytelling e approfondimento filatelico, ma una volta era invece messaggero – addirittura con frequenza bisettimanale – di urgente cronaca di mercato dei francobolli.
Proprio sul Collezionista “AB”, come in azienda è stato sempre chiamato, ha condotto le sue più convinte battaglie o annunciato le sue più clamorose rivoluzioni, affinché tutti – clienti in primis, ma anche commercianti, politici e tutti gli altri “stakeholder” del settore – avessero contezza del pensiero della ditta Bolaffi in proposito. Di fatto, il suo verbo.
In ufficio, le ore che dedicava settimanalmente alla rivista superavano di gran lunga la somma di tutte le altre attività, pur molto importanti e quasi certamente più redditizie. Il collezionista, però, era il suo megafono verso il mondo che gli stava a cuore: ogni pensiero maturato entro le mura aziendali doveva subito trovare voce, non sui social media come accadrebbe oggi, bensì sulle pagine della rivista.
Il collezionista anticipava sempre le politiche commerciali della Bolaffi, che con la pubblicazione del catalogo annuale (tradizionalmente a settembre) spesso scuoteva il mercato per la sua politica dei prezzi o con i contenuti. E durante l’anno, quando arrivava una novità o addirittura una vera e propria rivoluzione – evento tutt’altro che raro – era la rivista a diffonderle per prima. È superfluo specificare che tutte queste idee prendevano forma direttamente nella mente di mio padre, spesso frutto di rapide intuizioni più che di lunghi studi o complesse analisi di tendenze.
Nelle prossime pagine, tra i vari ricordi di chi ha conosciuto Alberto Bolaffi, compare un capitoletto dedicato a coloro che lavorarono gomito a gomito con lui in redazione (cfr. pp.18-19): alcuni per molti anni, altri per un periodo più breve, ma tutti accomunati dagli insegnamenti che mio padre seppe trasmettere nelle ore trascorse insieme. Ore che, a molti di loro, dovevano apparire interminabili… Non di rado infatti gli accadeva di iniziare da un argomento, ma poi, trascinato dall’entusiasmo – o dall’arrabbiatura, a seconda del caso – si lasciava andare a ragionamenti appassionati o a vere e proprie lezioni di vita ad alta voce. Sicuramente una scuola unica, che io non ho vissuto in prima persona, visto che negli anni in cui abbiamo lavorato insieme sono stato “esentato” da mansioni in redazione, ma il cui ricordo è ancora vivo in tutti coloro che hanno frequentato quelle stanze.
Le copertine – 11 all’anno – nel periodo più recente della sua direzione sono state, nel 90 per cento dei casi, la traduzione grafica della sua visione dell’argomento: una visione prima abbozzata a mano libera (sapeva disegnare molto bene), e poi affidata al grafico di turno che aveva il compito di interpretarla al computer in chiave editoriale. Se quindi per andare incontro alla sua idea, il lato estetico a volte lasciava un po’ a desiderare, il messaggio grafico ne usciva sempre molto pungente e provocatorio. Tra tutte, me ne viene in mente una in particolare: dopo una manifestazione filatelica internazionale (Wipa 2000), comparvero le fototessere di tutti i giurati schierati, come fossero ricercati dalla polizia, accompagnate dal titolo “Ingiudicabili”. Questo, alla luce del verdetto che aveva assegnato il Gran premio a una collezione modesta, ben lontana da quella che, secondo mio padre, avrebbe meritato di vincere (il Lombardo-Veneto dell’Ing. Masi).
Al pari della copertina, anche la IV di copertina rivestiva per lui un’importanza speciale: era la vetrina delle più preziose gemme filateliche collezionate o trattate dall’azienda. I pezzi degni della sua firma, o che avevano ricevuto quella di mio nonno Giulio, che lui orgogliosamente presentava al grande pubblico rinunciando agli introiti pubblicitari derivanti dallo spazio più ambito della rivista.
L’ultimo ricordo lo affido al lettore storico del Collezionista che, fedele nel tempo, avrà senz’altro viva la memoria di un particolare pezzo o di un argomento affrontato da mio padre sulla rivista. Perché, in fondo, a lui che amava raccontare tutto ciò che pensava, intrattenere i suoi ospiti e condividere la sua cultura, Il collezionista permetteva di estendere l’invito al suo “tavolo di opinione” a molte più persone di quante ne avrebbero potute accogliere una sala riunioni o un ristorante.
Non so esattamente cosa riserverà il futuro alla filatelia, ma Il collezionista, fondato da mio nonno e poi guidato da mio padre, continuerà a cercare di raccontarlo nel miglior modo possibile.
Buon viaggio Direttore, ciao Papà.
I CONTENUTI DI SETTEMBRE– NOVEMBRE 2025