Gibilterra leale e reale

Gibilterra leale e reale

di Simone Berelegni e Niccolò Sambo

gibilterra12Si oltrepassa La Línea de la Concepción, altare di cemento consacrato ai piani di sviluppo franchisti prima e al lavoro frontaliero oggi, si attraversa (!) la pista dell’aeroporto e tutto, o quasi, cambia. Intanto il senso di marcia: si passa dalla Spagna a un fazzoletto di terra di Sua Maestà Elisabetta II e quindi tocca guidare a sinistra. Poi compaiono le cassette postali rosse (trentatré, tutte regolarmente censite, dalla più antica, quella d’epoca vittoriana, alle ventitré di Elisabetta), le botteghe di fish&chips e bisogna metter mano alle sterline.

Benvenuti a Gibilterra, 700 ettari a quattordici chilometri dall’Africa. Guai a chiedere informazioni in castigliano: tra i locali la lingua veicolare è quella o il dialetto llanito – mescola di spagnolo, inglese, maltese e genovese – ma le risposte ai turisti vengono rigorosamente fornite in un inglese dal colorito accento andaluso. Orgoglio britannico innanzitutto. Britain forever, Spain for-never, è lo slogan in voga a Gibilterra, che quest’anno celebra i trecento anni del Trattato di Utrecht , che la rese ufficialmente una dipendenza di Londra (e pazienza se i cognomi più diffusi sono Picardo, Sanguinetti, Costa).

In realtà i britannici la occuparono il 4 agosto 1704, in un’operazione inserita nella Guerra di successione spagnola. Il conflitto, volto a impedire che a Carlo II di Spagna, morto senza eredi, succedesse Filippo d’Angiò, creando un asse francofilo in Europa e America, vide impegnate le maggiori potenze europee su numerosi teatri, tra cui la città di Torino. Se ne uscì senza vinti né vincitori con il Trattato di Utrecht, una serie di accordi firmati nel 1713 (che assegnarono, tra l’altro, Sicilia, Casale, Lomellina e Valsesia ad Amedeo II di Savoia). Ai britannici andarono Minorca e Gibilterra. L’isola delle Baleari tornò poi alla Spagna, ma Londra conservò gelosamente una delle due Colonne d’Ercole, chiave d’accesso al Mediterraneo.

La Spagna tentò di riprendersela a più riprese. Durante la Seconda guerra mondiale Hitler chiese all’amico Franco il permesso di conquistarla passando sul territorio spagnolo, ma il caudillo rifiutò, consapevole dei rischi connessi.

Dopo il conflitto Gibilterra perse valore strategico e fu inserita nel piano di decolonizzazione, ma gli abitanti non ne vollero sapere di passare alla Spagna, sia perché era una dittatura, sia perché sulla Rocca si paga(va)no poche tasse. Il 10 settembre 1967 confermarono via referendum di voler rimanere colonia britannica e nel 1969 vararono una nuova costituzione che scatenò l’ira spagnola. Madrid pose il blocco totale (trasporti, energia elettrica, telecomunicazioni) e a Gibilterra non restò che darsi da fare per non rimanere isolata e senza luce. La frontiera con la Spagna fu riaperta solo tra l’82 e l’85.

Madrid comunque non ha mai smesso di rivendicare Gibilterra, andando molto vicina a un accordo di cocittadinanza sotto i governi Aznar e Blair, quando i quasi 30mila abitanti reagirono convocando un referendum che bocciò la cosovranità con un 99% di no e il varo di una nuova costituzione nel 2009, grazie a cui Gibilterra ha acquisito maggior autonomia da Londra e lo status di territorio d’oltremare. Ogni tanto Madrid alza la voce – come ad agosto, quando la creazione di una barriera artificiale nel mare davanti alla Rocca ha suscitato l’ira delle autorità iberiche, che hanno minacciato l’introduzione di una tassa di accesso all’enclave britannica oltre alla chiusura dello spazio aereo ai voli diretti a Gibilterra – ma raccoglie solo insuccessi: ultimo in ordine di tempo, il sì dell’Uefa all’ufficializzazione della nazionale di calcio di Gibilterra (24 maggio 2013, ricordata anche da un’emissione filatelica).

L’album gibilterrino

Prima della prima emissione locale a Gibilterra circolavano sia esemplari spagnoli, sia britannici.
I primi francobolli dedicati arrivarono da oltreoceano: il 1° gennaio 1886 entrarono infatti in uso sette valori con il classico profilo della regina Vittoria, preparati per Bermuda, isola britannica dei Caraibi, con la sovrastampa Gibraltar. Era un’emissione provvisoria, sostituita a dicembre da valori simili – il profilo della regina in vari riquadri – ma con la corretta dicitura Gibraltar. Il facciale era in moneta britannica; due anni e mezzo dopo furono sovrastampati in céntimos, la moneta spagnola in realtà corrente, e nel novembre 1889 vennero realizzati altri otto valori con i medesimi disegni e i valori in pesetas e céntimos.

gibilterra2Solo nel 1903, con la prima serie del nuovo re Edoardo VII, si ritornò ai pence e agli scellini, e così per le rade emissioni successive, francobolli dall’iconografia stereotipata, ordinari o celebrativi della casa reale. La prima pittorica arrivò solo nel 1931, la prima commemorativa nel 1935.

Tutto cambia con Elisabetta II, il cui capitolo filatelico inizia il 2 giugno 1953 con un mezzo penny per l’incoronazione e prosegue con valori pittorici per dieci anni sino a che, nel 1963, inizia la produzione più intensiva di commemorativi e, dal 1974, quella di blocchi e foglietti. L’iconografia è quella classica dei territori britannici: la scritta Gibraltar e il profilo stilizzato della sovrana. I temi sono nazionali, come il legame con la Gran Bretagna, le nuove costituzioni, le personalità e le istituzioni locali (comprese le poste ), o il conquistatore berbero Tariq, che diede il nome alla Rocca, oppure riferimenti alla cultura britannica, come William Shakespeare, Winston Churchill, Horatio Nelson, le ricorrenze della famiglia reale. Non mancano temi di ampio respiro: organizzazioni internazionali, impegno umanitario e civile, avvenimenti sportivi, il giro “Europa” e infine soggetti tematici tipici (turismo, Natale, uniformi, stemmi, fauna, flora, cinema, musica).

Se in molte emissioni dedicate ad alcuni temi (per esempio Europa, cinema, sport) non mancano riferimenti a persone o luoghi di tutto il mondo (per l’Italia, per esempio, Raffaello, Vittorio De Sica, il Colosseo), sono invece solo sei le emissioni dedicate specificatamente e dichiaratamente a persone o temi non dell’area britannica: due riguardano gli Stati Uniti (1976, bicentenario della fondazione e 2008, cinquantenario della Nasa); una, del 2005, ricorda la morte di Giovanni Paolo II; le altre tre toccano l’Italia. Si tratta dei tre francobolli del 1975 dedicati ai cinquecento anni della nascita di Michelangelo, dei sei del 2004 in omaggio alla Ferrari e dei quattro del 2006 per i cinquecento anni della morte di Cristoforo Colombo. Senza dimenticare l’emissione del 2010 congiunta con San Marino, che ricordava le affinità fra i due piccoli stati.

Quanto vale

La prima emissione, la più costosa, è quotata 1.500 euro; il singolo di maggior valore è il 5 sterline di Giorgio V, quotato 2mila euro. Le altre serie fino al 1950 ammontano in totale a quasi 7mila euro. Con Elisabetta II, a parte la prima serie ordinaria che supera i 200 euro, tutte le altre emissioni hanno quotazioni minime.

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