Occhio al perito

Occhio al perito

di Domitilla D’Angelo

Periti improvvisati, sedicenti e ultraspecializzati; distinzione fra perizia e certificato di garanzia; indennizzo per gli errori peritali; come funziona in Italia e come funziona all’estero. L’argomento, complesso e ambiguo, offre spunto a tante riflessioni

Quando ci sono dubbi sull’originalità di un francobollo e si desidera un’opinione sicura, competente e incontestabile; quando si vuole dissipare una controversia; quando si vuole vendere; spesso ci si rivolge agli esperti del settore. Nel nostro campo ai periti filatelici. Ma chi sono? che competenze hanno? e chi gliele verifica?

In Italia, l’attività di perito filatelico è libera, può esercitarla chiunque, senza l’iscrizione ad alcun albo professionale specifico. Non esiste un esame di stato, non esistono corsi di abilitazione, e non è neppure obbligatorio alcun accertamento specifico delle competenze e della professionalità. A richiesta, il candidato perito può sottoporsi a un esamino presso una camera di commercio (che pare sia una pura formalità a causa dell’assenza di esaminatori selezionati secondo criteri professionali), dopo il quale ci si può fregiare del titolo di perito e consulente della camera di commercio e del tribunale, ed essere interpellati per procedure giudiziarie relativamente al settore filatelico e postale. Ma questa “qualifica” è di fatto solo la notifica di una autopromozione.

Inoltre chiunque può indicare liberamente e senza limiti i propri ambiti di specializzazione su cui desidera esprimersi. Di fatto, è il perito stesso ad autocertificare il proprio status di perito, creando una situazione non trasparente. Che, secondo alcuni, sarebbe ulteriormente confermata e aggravata dalla formula «a mio parere», che ricorre sui certificati peritali e che non vincola l’estensore a farsi carico di responsabilità e di eventuali risarcimenti in caso di errore. Si aggiunge poi anche l’ambiguità di una prassi come l’apposizione della firma del perito in posizioni e con formule diverse a seconda della qualità dell’esemplare esaminato, senza che le diverse variabili siano espresse e declinate in modo esplicito, e la possibilità di trovare firme di periti su certificati peritali redatti su carta intestata ad altri periti. C’è poi anche l’incognita del tariffario applicabile per consulenze singole, per la “minimale” (l’esame di più esemplari), per la sola catalogazione del francobollo, su base percentuale rispetto alle quotazioni di catalogo: tutto è lasciato alla soggettività dei singoli.

In Italia il perito “buono” è quello che nel tempo si è costruito una buona fama: è ritenuto onesto, non gli viene imputato nessuno scivolone o solo pochissimi e veniali, ha una forte referenzialità e un solido network di amici e conoscenti che rafforzano la sua reputazione, che è tanto più forte quanto più è limitata ad ambiti collezionistici molto specializzati.

Al di là del rapporto di fiducia fra cliente e perito, le zone grigie delle competenze e delle responsabilità (anche risarcitorie), causate dall’assenza di una normativa specifica, hanno più volte creato mal di pancia e malumori nei collezionisti italiani, che da tempo chiedono una più severa definizione della figura professionale del perito. Come in molti casi capita già all’estero e in altri settori del collezionismo.

 

Per conoscere anche il punto di vista dei collezionisti, dei commercianti, dell’esperto legale e per scoprire quel che capita all’estero e negli altri settori collezionistici, leggi il testo integrale sul numero di marzo.

Commenti