Un genio a cavallo per postini a piedi

Un genio a cavallo per postini a piedi

DI FUSCO FERI |

Tra la ventata di novità portate in Italia da Napoleone c’era il monopolio postale. Nell’antico regime un privato poteva trasportare occasionalmente una lettera e recapitarla senza infrangere la legge. Nel restaurato regno di Sardegna, invece, la legge del 12 agosto 1818 stabiliva il monopolio postale sui «territori di terraferma» (Piemonte, Liguria, Savoia e Nizzardo): qui solo l’amministrazione postale era autorizzata al trasporto della corrispondenza, i privati che volevano farlo dovevano portare la lettera a un ufficio postale, pagare il diritto e far bollare il documento (per dimostrare il pagamento). L’operazione era disagevole e vanificava l’esigenza di qualche eccezione: se si affidava una lettera a un viaggiatore occasionale era proprio per evitare di andare all’ufficio postale, che a volte poteva essere molto distante. L’amministrazione decise di ovviare all’inconveniente, preparando appositi fogli di carta da lettere già bollati. L’utente li acquistava preventivamente, li utilizzava per scrivere le proprie comunicazioni e li affidava a un casuale corriere senza dover più passare per un ufficio postale. La novità ebbe un discreto successo soprattutto per i tragitti brevi, quelli per i quali l’uso di un corriere occasionale, quasi sempre appiedato, era più frequente.

La prima emissione
I nuovi fogli bollati uscirono il 1° gennaio 1819, preceduti da un manifesto camerale del dicembre precedente che ne mostrava i tipi e spiegava l’utilizzo in italiano e in francese.
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Si trattava di fogli di carta (circa 25×38 centimetri) acquistata da vari fornitori. Gli specialisti distinguono le varie carte, più o meno spesse, di colore bianco, giallognolo, azzurrognolo, verdastro, oppure vergate, o ancora con le indicazioni della cartiera impresse o in filigrana: in totale 22 carte diverse. Su queste i bolli erano apposti a mano con un tampone inchiostrato in azzurro, in tre diversi valori: 15 centesimi di lira, per le lettere che dovevano percorrere un massimo di 15 miglia (37 chilometri); 25 centesimi per quelle fino a 35 miglia (86 chilometri), 50 centesimi per quelle indirizzate oltre, ma sempre entro i confini dello stato. Questi costi rappresentavano solo il diritto da pagare all’amministrazione postale per derogare al monopolio: il prezzo effettivo del trasporto della missiva era invece affidato alla libera contrattazione fra il mittente ( o il destinatario) e il vettore. Il disegno dei bolli era opera di Amedeo Lavy (cf. Amedeo Lavy, dall’oro alla carta). Le cornici erano diverse per i tre valori: un cerchio, un ovale e una figura mistilinea. Il disegno era invece identico: un riquadro barrato in basso per contenere l’indicazione del valore; al centro l’immagine di un cavallo al galoppo montato da un genietto nudo con un manto gonfiato dal vento che suona il corno di posta. Si tratta di un’immagine allegorica, che rispecchiava lo stile neoclassico dell’autore. Il cavallo al galoppo (anche se, per la verità, nel disegno non appare sfrenato) raffigura la rapidità della posta: all’epoca – la ferrovia doveva ancora essere inventata – la velocità di un cavallo al galoppo era la massima raggiungibile per via terrestre. Nell’arte classica il fanciullo nudo, il genietto, simbolizzava un’idea astratta, il manto gonfiato dal vento (la cosiddetta velificatio) identificava divinità celesti colte nella loro epifania, cioè nell’atto di arrivare. Il genietto sta suonando il tipico corno di posta, lo strumento musicale con cui, da lontano, corrieri e postiglioni avvisavano del loro arrivo le stazioni di posta. Tutto l’insieme, quindi, è un abile mix di simboli classici e moderni e, in definitiva, è un’allegoria della posta, l’indispensabile servizio che permetteva di trasportare i messaggi in ogni dove nel più breve tempo possibile. In totale vennero prodotti circa 335mila fogli; ne furono venduti 90mila, 20mila e mille nei tre tagli.

La seconda emissione
La prima emissione di questi fogli di carta bollata, che i collezionisti chiamano familiarmente Cavallini, era stata realizzata così velocemente da essere considerata provvisoria: e infatti fu tolta di corso alla fine dell’anno, sostituita da una seconda versione, che vide la luce il 1° gennaio 1820. I tagli erano gli stessi, il disegno pressoché identico: cornice ovale con contorno a perline, genietto a cavallo e indicazione del valore. Del tutto diverse, invece, carta e tecnica di stampa. Questa volta non furono usate più carte diverse, ma una fornitura ufficiale affidata alla cartiera Capucino di Torino, con una filigrana che riportava al centro l’aquila sabauda, l’indicazione Direzione Generale Delle Regie poste e una cornice a greca con la scritta corrispondenza autorizzata in corso particolare per pedoni e altre occasioni. Gli specialisti distinguono diversi tipi di filigrana, che differiscono per particolarità minute. Il formato della carta era di 26×40 centimetri. Le impronte del genietto, invece, non erano più impresse a tampone, ma a secco. Anche questa emissione fu preceduta da un manifesto camerale di informazione.

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La fine
Tra gli antichi stati italiani, il regno di Sardegna sviluppò maggiormente la capillarizzazione del servizio postale, con l’apertura continua di nuovi uffici anche nei centri minori. La necessità di affidare la corrispondenza al di fuori del normale circuito postale non era quindi molto sentita tanto che nel tempo l’uso dei Cavallini diminuì fino a consigliarne la soppressione. Quando furono messi fuori corso alla fine di maggio 1836 ne erano stati venduti 345mila del 15 centesimi, 100mila del 25 e 5mila del 50. I fogli avanzati furono utilizzati come carta per scrivere da diversi uffici statali, che spesso stamparono sopra le proprie intestazioni.

Quanto vale
Le quotazioni dei Cavallini nuovi si differenziano a seconda che i fogli siano stati piegati oppure no, variando da 18mila a 25mila per entrambe le emissioni. Usati, valgono da 2mila a 18mila euro, mentre possono raggiungere i 10mila euro se utilizzati dopo il periodo di validità.

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