Posta sottoterra

Posta sottoterra

di Gabriele Fabris

Vista da lontano, la macchina del vento assomiglia a un pachiderma a riposo, invece per 58 anni è stata utilizzata dal servizio postale pneumatico di Roma per sparare la corrispondenza dentro ai tubi sotterranei. Nella capitale le stazioni pneumo generatrici – così definite in gergo burocratese – erano due e la loro avventura lavorativa cessò nel 1971. Quella prodotta dalla Franco Tosi a Legnano, usata per soffiare le corrispondenze a San Silvestro, dopo essere stata smontata, rimontata e restaurata, è entrata a far parte del patrimonio museale del ministero dello Sviluppo economico; invece i 45 chilometri di tubi, che ancora scorrono sotto il suolo di Roma come vene e arterie, dal 2000 sono utilizzati da Fastweb per la cablatura del centro cittadino e la concessione da parte di Poste italiane scadrà nel 2030. In concreto un impianto di posta pneumatica era costituito da «una rete di tubi di acciaio nei quali circola una corrente di aria: questa, con il suo movimento è capace di trasportare da una stazione all’altra della rete i bossoli contenenti corrispondenza» e, s’intende, da un compressore. In dettaglio, il sistema adottato dalla milanese Società anonima poste pneumatiche di Bertolini e Deaglio, minuziosamente illustrato in una rara pubblicazione del 1925 conservata alla biblioteca del Mise, era a circuito chiuso: in altre parole «i due tubi di ogni linea, quello di andata e quello di ritorno, sono tra loro collegati all’estremo della linea: l’aria viene compressa all’inizio del tubo di andata ed aspirata dal tubo di ritorno della stessa linea: in tal modo ogni bossolo viene ad essere trasportato da una corrente  d’aria mossa dalla forza risultante dalla somma algebrica delle pressioni alle quali il compressore lavora». In genere la pressione massima per la trasmissione non superava le 2-3 atmosfere, mentre l’aspirazione non scendeva al di sotto  di 4-5 decimi di atmosfera. Negli impianti Sapp i tubi erano in acciaio trafilato senza saldatura, con diametro esterno di 87 millimetri e interno di 80, collegati fra di loro con giunzione a flangia, a maschio e femmina, guarnizione interna, chiusura con quattro bulloni. Il loro collocamento in trincea avveniva a una profondità di circa un metro (o in gallerie, oppure in cunicoli, con sostegni, in questi casi, di mensole in ferro). A loro volta i bossoli per il trasporto delle corrispondenze constavano «di un cilindro di celluloide, di cui un’estremità è unita al coperchio e l’altra si introduce a sfregamento in una guaina di cuoio inserita su di un anello metallico: a questo è pure applicata una molla metallica che viene fermata sopra la testa dell’astuccio, chiudendolo in modo sicuro e tale da impedire l’entrata di polvere o di umidità. Il corpo di celluloide consente di vedere nel bossolo, senza aprirlo, se vi sono corrispondenze e verso quale stazione devono essere inoltrate».  A una velocità di 500 metri al minuto, anche quando «le spedizioni si susseguono al minimo intervallo di dieci secondi».

 

Se vuoi saperne di più dei francobolli pneumatici e dei bozzetti conservati al Museo storico delle comunicazioni di Roma, abbonati al Collezionista

Commenti