Dicono del collezionismo - Vincenzo Boccia

Dicono del collezionismo – Vincenzo Boccia

di Domitilla D’Angelo

Salernitano, classe 1964, laurea in Economia e commercio, sposato, due figlie: dal 25 maggio Vincenzo Boccia è presidente di Confindustria. È anche amministratore delegato di Arti Grafiche Boccia, impresa che da oltre 50 anni opera nel settore grafico industriale. Dalle sue rotative escono quotidiani e periodici specializzati, come anche Il collezionista.

 Da imprenditore di un’azienda tipografica che ha sede a Salerno a presidente di Confindustria: come cambia la prospettiva?

Diciamo che è come se da un obiettivo normale fossi passato a un grandangolo. Una prospettiva che ho imparato ad allargare negli anni, grazie anche al percorso formativo maturato sinora in Confindustria. Rimangono, ed è fondamentale, la passione e la determinazione dell’imprenditore di quella azienda tipografica.

Arti Grafiche Boccia stampa anche il nostro mensile, Il collezionista. In un passaggio della monografia di Valerio Castronovo dedicata ai primi 55 anni della vostra impresa si legge che la stampa dei periodici legati al mondo del collezionismo ha rivestito un ruolo importante nell’attività della società, soprattutto in alcuni periodi. Perché? È ancora così?

La stampa periodica specializzata è un indice rivelatore della capacità delle nostre imprese di non fermarsi alla constatazione della realtà, ma di avere visione di futuro. Anche nei momenti difficili. per Arti Grafiche Boccia la scelta di questo segmento ha rappresentato un’importante occasione di crescita e di apertura verso nuovi mercati. Una nicchia di enorme potenziale, che ci ha dato grandi soddisfazioni e ci ha consentito di creare un’interessante rete di clienti.

Boccia e Bolaffi sono due aziende famigliari: quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

La storia famigliare delle nostre imprese le accomuna alla maggior parte delle aziende italiane, appartiene al nostro dna e le caratterizza. Al di là del legame affettivo, oggi la nostra visione deve essere quella dell’impresa istituzione, aperta e votata alla crescita. L’industria del futuro richiede dimensioni adeguate, per questo dobbiamo crescere. Dobbiamo innovare i modelli di finanziamento e di governance, con più capitale di rischio e meno di debito. Le imprese devono aprirsi all’utilizzo di strumenti finanziari alternativi e diventare meno “bancocentriche”. Tutte le imprese: grandi, medie, piccole.

Stampa e posta insieme sono stati per secoli i propulsori della comunicazione e dell’informazione. Con l’avvento del web, il loro ruolo si è trasformato. Quale sarà, secondo lei, l’esito di questo processo?

Stiamo affrontando una rivoluzione nel modo di interfacciarci coi media, forse più dirompente di quella che la generazione dei nostri padri ha vissuto ai tempi della radio e della tv. Internet, i social network, gli smartphone, i tablet sono entrati nella nostra vita al punto che oggi non potremmo pensare di lavorare e vivere senza: il digitale sta cambiando velocemente non solo le nostre abitudini quotidiane, ma anche il modo di fare informazione. Ci stiamo tarando su un’informazione che viaggia in tempo reale, rapida, aggiornata, gratuita. E la rete presenta queste caratteristiche molto più dei mezzi tradizionali. Oggi parliamo di nativi digitali, di generazioni che crescono a “pane e rete”. Detto questo, per chi come me è cresciuto invece a “pane e inchiostro” è difficile ipotizzare un futuro senza carta. Sono convinto che web e carta stampata non necessariamente sono in contrasto tra di loro, anzi, hanno ampi margini di interazione.

Si legge e si scrive meno. Secondo i pareri degli esperti, questa rarefazione della “parola scritta” causa effetti profondi anche nei processi di elaborazione del pensiero. Quali sono i punti di forza – se ce ne sono – della parola scritta/stampata rispetto a quella virtuale?

Verba volant, scripta manent. Non è un detto casuale, né superato, ma stabilisce una verità inequivocabile che regola la vita sociale degli esseri umani da secoli. Noi usiamo le parole non solo per esprimerci, ma per stabilire leggi e comportamenti cui attenersi in un mondo dove a tutti deve essere riconosciuta pari dignità e uguali diritti. E non è solo una questione di leggi, ma di pensiero, di trasmissione di cultura, di valori. Nello scrivere si è decisamente più attenti nella scelta delle parole, si ha l’occasione di rivedere e correggere quello che abbiamo messo nero su bianco, per essere certi che il nostro messaggio arrivi esattamente come vogliamo, per trasmettere appunto pensieri, idee, opinioni che non si disperdano, ma restino a memoria anche a vantaggio delle generazioni future. È quel passato che fa parte del nostro bagaglio di vita e cultura, che serve conoscere per vivere meglio il nostro presente e sognare un futuro migliore.

Il tedesco Johannes Gutenberg a metà del Quattrocento e l’inglese Rowland Hill a metà dell’Ottocento hanno innovato radicalmente i settori della tipografia e della posta. In Italia oggi ci sono imprenditori altrettanto illuminati?

L’industria italiana è ricca di imprenditori illuminati, di inventori che hanno cambiato la storia del mondo, anche nell’ambito della comunicazione. Come presidente di Confindustria oggi ho l’onore e l’orgoglio di rappresentare i migliori imprenditori al mondo, protagonisti di storie aziendali più o meno conosciute, che portano avanti piccole e grandi rivoluzioni nei prodotti, nei processi, nelle relazioni. Grazie a queste persone, alle loro aziende, l’Italia rimane tra le grandi economie manifatturiere internazionali, al secondo posto in Europa dopo la Germania.

Le imprese che ruotano attorno al collezionismo filatelico – con Poste italiane, che è il major player – muovono grandi investimenti. Quali iniziative può attuare Confindustria per tutelare anche settori di nicchia come questo?

Abbiamo detto fin dall’Assemblea pubblica dello scorso maggio, e lo stiamo ribadendo sul territorio in ogni occasione di incontro con gli imprenditori e il Governo, che dobbiamo cambiare ottica: non agire più sui settori, ma sui fattori, partendo dalla politica dell’offerta e non della domanda. Mi spiego. Noi abbiamo idea di una politica economica che incida su quei fattori che possono sciogliere i nodi di sviluppo di un paese come l’Italia, che – ribadisco – è il secondo paese industriale d’Europa. Questo messaggio inizia a passare e siamo convinti che questa sia la direzione giusta.

 

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