Parole prestate dalla posta

Parole prestate dalla posta

Francobollare, leggere in filigrana, rispedire al mittente, a stretto giro di posta, postare sono espressioni figurate mutuate dal mondo dei francobolli e delle lettere. Alcune, oggi molto social, hanno un’origine antica.

Di Francesco Giuliani

Ci sono termini e usi linguistici che nascono dal mondo filatelico e, in generale, postale, per diventare appannaggio di tutti i parlanti, anche di quelli che non hanno mai provato il piacere di sfogliare le pagine di un raccoglitore pieno di francobolli.

Il verbo francobollare, per esempio, è diventato una presenza fissa delle cronache sportive, specie del mondo del calcio. Il francobollo si attacca attraverso la gomma a una lettera, attestando il pagamento dei diritti di spedizione fino a destinazione. Ebbene, di qui il linguaggio figurato ha sviluppato l’accezione di francobollare, che in un uso relativo al 1886 vale semplicemente, in senso proprio, ‘affrancare’. Scriveva Filippo Turati: «Devi pigliarti la pena di fasciare, francobollare, impostare». Il francobollo, però, aderisce alla carta, diventa tutt’uno con essa, anche in senso ostile, antagonistico, di minaccia. Nel volume di Carlo Bascetta Il linguaggio sportivo contemporaneo (Sansoni, 1962) è riportata la voce ‘francobollare’, riferita al calcio e dalla sfumatura scherzosa, che vale ‘controllare rigidamente, con un uomo di difesa per ogni attaccante’. Nel calcio, specie in quello tradizionale, i coriacei terzini non devono perdere di vista gli attaccanti. La battaglia che avviene ogni domenica sui campi di tutta Italia viene commentata con un linguaggio che tende non di rado all’epico, al solenne, al militaresco, in nome di una sbrigliata fantasia.

L’uso di francobollare in gergo sportivo è attestato già nel 1921

Ma gli usi del verbo negli anni Settanta e Sessanta del secolo scorso, che spesso vengono ritenuti pioneristici, non devono trarre in inganno, dal momento che è possibile andare indietro nel tempo, anche in modo considerevole. Nell’archivio storico della Stampa si trovano esempi che risalgono già al 1921. Il 7 febbraio di quell’anno nelle cronache sportive si parla della partita tra U. S. Milanese e Internazionale F. C.: Bosi, si legge, «non ha disimpegnato alla perfezione l’ingrato compito di francobollare l’ala avversaria».  Il 19 dicembre 1921 si parla del Savona che batte il Torino: «La linea di sostegno ha avuto in Aliberti il suo migliore elemento. Quest’ottimo giuocatore ha saputo quasi sempre “francobollare” il nazionale Roggero». In questo caso, il verbo in questione è posto tra virgolette, con l’intento di sottolineare l’uso particolare. L’uso figurato del verbo, insomma, è più datato di quanto può sembrare, risalendo almeno fino al 1921. Il verbo attraversa gran parte del Novecento, ritrovandosi anche in articoli relativi ad altri sport, come il motociclismo (i duelli spalla a spalla tra centauri), l’automobilismo e il basket, dove francobollare qualcuno ha un’idea di vicinanza agonistica dai tratti più o meno ostili e vincolanti. Il termine, però, compare, con la stessa accezione di base, anche in altri ambiti. Nel 2017, parlando di palinsesti televisivi, sulle pagine del Messaggero è apparso un articolo con questo passaggio: «Sicuramente nessuno ha dimenticato la maglietta strappata di Zico ai Mondiali del 1982 dopo aver subito la marcatura pressante a uomo da parte di Gentile. Che in campo tutto è stato meno che gentile. A distanza di anni il metodo Gentile è stato messo in atto anche in tv». La televisione in questione, pertanto, «ha deciso con il suo team a disposizione di francobollare la Rai», cercando di strapparle telespettatori in nome delle esigenze del servizio pubblico. Ancora più ostile è il gesto di un personaggio che, come si legge in un passo di narrativa, «Gli ha francobollato una cinquina al petto!», per finire alla ‘francobollatura’ che diventa fastidiosa e oppressiva, fino a diventare un incubo o un vero e proprio stalkeraggio, e dunque un reato. Il verbo, insomma, nel complesso viene incontro alla ricerca di un linguaggio vivace, soprattutto giornalistico.

Le esigenze di velocità della società sono aumentate a un ritmo forsennato. L’espressione a stretto giro di posta, come ricorda Franco Filanci nel Dizionario postale e filatelico italiano (www.accademiadiposta.it), significa «con il primo viaggio postale disponibile». Nel vocabolario on line della Treccani si legge la definizione: «nel tempo necessario per ricevere una lettera o per rispondere (letteralmente, facendo partire la risposta a una lettera con la vettura stessa con cui la lettera è giunta, o con la prima che torna)». L’espressione continua a essere utilizzata, con il significato di una risposta rapida, ma ampliando l’area d’uso a reazioni e scelte prese tagliando i tempi consueti, per vari motivi.

 Le espressioni restituire al mittente e a stretto giro di posta derivano direttamente dal linguaggio postale

Sulle lettere e sui plichi si legge ancora l’indicazione restituire al mittente, specie in caso di indirizzo sconosciuto o disguido postale. Ma ormai è più facile trovare l’espressione al di fuori dell’ambito postale. Ci sono tantissimi politici che respingono al mittente le accuse, per non parlare delle polemiche tra partiti, nel corso delle quali i mittenti diventano tutti i cittadini e gli interessati alla discussione. Nell’epoca dei social, si sa, tutti ormai siamo in qualche modo coinvolti.

L’espressione guardare, leggere in filigrana significa, in senso figurato e con qualche sfumatura di senso, «analizzare minutamente, cogliere il senso nascosto’ (Dizionario Italiano Sabatini-Coletti). A ben pensarci, c’è molta poesia alla base di quest’uso, se si pensa all’attenzione ai minimi particolari propria di chi studiava la filigrana dei fogli cartacei o semplicemente leggeva e rileggeva la lettera inviata dalla persona amata. Forse in questa espressione si può trovare anche l’amore degli studiosi di storia postale e dei filatelisti, attenti a distinguere i caratteri delle varie filigrane, sin dall’Ottocento.

Ritornando ai social, postare è un termine decisamente recente, un neologismo usato ormai con una cadenza impressionante. Quale che sia l’argomento di cui si discute o l’ambiente in cui ci si muove, si troverà sempre qualcuno che ha appena postato un intervento o che sta leggendo i post. Il termine postare, nei neologismi datati 2008 di cui parla la Treccani, viene così definito: «Affiggere, impostare un messaggio in un blog o in un sito di discussione della rete telematica». Il verbo è un adattamento italiano dal verbo inglese to post, ‘affiggere’, ‘impostare’, o semplicemente da post, ossia la posta. Nel 2013 la voce della Treccani usa una definizione più essenziale, come riferita a qualcosa che nel giro di pochi anni è diventata decisamente più nota: «Inviare un post in internet», sottolineando la derivazione dal sostantivo inglese post.

Postare, neologismo usato sul web con frequenza impressionante, nel Cinquecento significava ‘collocare a posto’

Tra gli esempi riportati, uno, apparso su Repubblica a firma di Tiziano Toniutti, suona così: «Uno dei passi quasi irrinunciabili per ogni utente, dopo aver sottoscritto il proprio abbonamento internet, è quello che porta oltre le pur nobili arti del “surfare” la rete, del “chattare” sui canali tematici e di “postare” commenti e osservazioni sui gruppi di discussione». L’articolo, intitolato Inferno e paradiso nella mia home page, è del 17 gennaio 1998, che è una data in sé abbastanza recente, ma trattandosi di temi informatici, si riferisce a una lontana preistoria. Nel Lessico del XXI secolo, sempre della Treccani, con la data del 2013, si legge questa esauriente voce, relativa ancora una volta a postare, che evidenzia anche dei collegamenti molto interessanti per il nostro discorso: «L’atto del pubblicare qualcosa online, dove possa essere visibile da altri, ed eventualmente essere condiviso mediante ripubblicazione su altre piattaforme da parte di soggetti successivi (v. post). Il verbo, derivato dall’inglese to post “mettere nella posta, imbucare” (riferito alla corrispondenza cartacea tradizionale), è entrato dapprima nell’uso corrente dei blogger, per poi espandersi a una fascia più allargata di persone in seguito alla diffusione dei social network».

Le prime attestazioni di postare precedono l’inizio del terzo millennio, per poi aumentare in modo vertiginoso, invadendo il linguaggio quotidiano. I significati tradizionali del termine, attestato a partire dal Cinquecento, come riportato dalla seconda edizione del Dizionario etimologico della lingua italiana di Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli, del 1999, rinviano a ‘collocare a posto’, ‘disporre sul terreno per l’impiego armi o soldati’ e, in forma riflessiva, ‘collocarsi, fermarsi’. Anche l’Etimologico di Alberto Nocentini, edito dalla Le Monnier nel 2010, sotto la voce postare ricorda le accezioni di ‘disporre, collocare al proprio posto’, senza ulteriori aggiunte, e lo stesso risultato si ottiene sfogliando altri vocabolari recenti, che ignorano questa nuova accezione del verbo, di provenienza inglese. Insomma, l’unica accezione di ‘postare’ che circola è ormai quella che si collega, per felice paradosso, al mondo della posta.

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