La Consulta si consulta?

La Consulta si consulta?

DI FRANCESCO DE CARLO  |

Chi sceglie in Italia i francobolli che devono essere emessi? Alzi la mano chi non se l’è chiesto almeno una volta. Chi è deputato a decidere lo fa in modo collegiale, razionale, scientifico, con un occhio al mercato e al marketing, oppure con altre logiche (non a tutti immediatamente comprensibili)? Eh sì, perché guardando i soggetti degli italici dentelli il quesito non è così bislacco. L’autorità che può decidere i soggetti e gli argomenti da tradurre in dentelli è la Consulta filatelica. Pardon, Consulta per l’emissione delle carte valori postali e la filatelia, giusto per non farsi mancare l’altisonanza del burocratese. Il Contratto di programma tra Mise (ministero dello Sviluppo economico) e Poste stabilisce infatti che questo organismo tecnico-consultivo coadiuvi il ministro nell’iter di realizzazione delle carte valori postali, ovvero «l’elaborazione del programma filatelico», ma anche nell’espressione di «pareri e orientamenti» su argomenti di politica filatelica.
Bene, è tutto più chiaro adesso? Spieghiamo meglio: il ministro (o un suo delegato) dovrebbe arrivare in Consulta, un po’ di convenevoli, qualche chiacchiera postal-filatelica con i membri (una trentina), un caffè, e poi subito tutti all’opera, a decidere in modo solenne, magari suddivisi in gruppi di lavoro, quali siano i personaggi, gli eventi e le novità di maggiore appeal che meritano un dentello (sempre dando per scontato che finire su uno dei 50-60 francobolli emessi ogni anno in Italia sia un onore da destinare a chi o cosa lo abbia davvero meritato). Fin qui tutto liscio: siamo in buone mani, anche perché in Consulta, oltre ai componenti di diritto, che danno voce «alle amministrazioni e agli enti coinvolti nell’iter di realizzazione delle carte-valori postali», a esponenti dei diversi settori della filatelia (commercianti, giornalisti, collezionisti), si è voluta portare dentro anche la cosiddetta società civile, rappresentata da imprenditori, accademici, artisti, giornalisti e, inspiegabilmente, uomini di Chiesa, tanto per evitare un organismo auto-referenziale (peccato non li si sia quasi mai visti presenti alle riunioni). Come si vede, tutto è organizzato in modo perfetto, da far invidia al Citizens’ Stamp Advisory Committee – per fare un esempio, ma si potrebbe citare anche l’equivalente comitato austriaco, per venire a paesi emittenti a noi più vicini – che, con i suoi “sparuti” 12 membri, si riunisce per decidere le 25 emissioni annuali degli Stati Uniti. Negli States tocca incontrarsi quattro volte all’anno per decidere il programma annuale, in riunioni fiume che durano due giorni. E se proprio non ce la fanno, è previsto pure un quinto meeting per discutere di grafica con i designer del Postal Service. I membri vengono dal mondo delle arti visive, del marketing e della comunicazione – ci sono persino commentatori televisivi, docenti di Harvard e il direttore del National Design Museum – e sono orgogliosi di questa carica che, come in Italia, non è retribuita. Incredibile: loro tengono pure conto dei suggerimenti popolari, perché la gente comune scrive, propone e qualche volta vede i propri consigli materializzarsi in francobolli. In Italia, come dicevamo, abbiamo abolito così tante complicazioni. Intanto non c’è bisogno di vedersi frequentemente, basta una o due volte all’anno, un’oretta ciascuna, tanto l’elenco delle emissioni le ha già decise il ministro, che ha ascoltato il pubblico, raccolto le istanze dei cittadini (ma soprattutto di enti, fondazioni, istituzioni, lobby, partiti, conoscenti, amici, familiari…) e tradotto le idee in originali argomenti filatelici. Ai consultori – beati loro! – rimane solo il lavoro di rifinitura, anche perché non devono neanche preoccuparsi degli aspetti estetici: a questi ci pensano gli altri 15 esperti della Commissione per lo studio delle carte-valori postali. Il che fa salire a circa 45 coloro che in Italia decidono il programma filatelico. Ecco perché è così raffinato, appropriato, mirato e azzeccato…

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