AAA Royal Mail vendesi

AAA Royal Mail vendesi

di Franco Latore

Le poste inglesi fanno risalire la loro nascita all’iniziativa di Enrico VIII, il sovrano che non ha esitato a provocare uno scisma religioso per un divorzio. Forse David Cameron non passerà alla storia come il sovrano, ma a differenza dei suoi predecessori a Downing Street non ha esitato ad annunciare l’ultima, la più grande, della privatizzazioni, quella della Royal Mail.

Un collocamento in borsa da oltre 3 miliardi di euro; una parte delle azioni gratuitamente in tasca ai dipendenti (ma la mossa non sembra aver sopito le proteste del potente sindacato); l’obiettivo dichiarato di voler tutelare il servizio postale e la tariffa unica. Un’operazione da far tremare i polsi, anche perché ha tutte le premesse per essere una reale privatizzazione, a differenza di quanto avvenuto 15 anni fa in Italia (già, in un certo senso il Regno Unito potrebbe essersi ispirato a quanto accaduto da noi), visto che Poste Italiane è una spa a tutti gli effetti, ma la proprietà è comunque saldamente in mano pubblica (65% ministero dell’Economia, 35% Cassa depositi e prestiti).

E proseguendo nel paragone con le cose di casa nostra, al di là dell’assetto azionario, resta da vedere come saranno risolte alcune questioni di principio. Nel Regno Unito, come anche in Italia e in tutte le nazioni occidentali, il servizio postale non è più un monopolio della Corona (dal 2006), con la comparsa di tante aziende private (olandesi e tedesche in prima fila) impegnate nel trasporto.

Ma il nodo principale riguarda le emissioni filateliche. Ovviamente l’emissione dei francobolli resterà appannaggio di Sua Maestà e del Governo, ma la distribuzione e commercializzazione continuerà a essere controllata da PostOffice, società che risponde alla holding del gruppo Royal Mail ma che dovrebbe essere esclusa dalla privatizzazione. Su questo fronte si profila quindi una soluzione diversa da quanto realizzato in Italia: lo Stato mantiene il potere di emissione, di vendita (bella la sezione di ecommerce per i collezionisti) e distribuzione (da noi lo Stato emette), mentre la commercializzazione avviene da parte della società privatizzata. Probabilmente quella inglese è una soluzione che potrà garantire ai francobolli di mantenere un po’ di più la loro natura di “biglietti da visita” della nazione. Anche se il rischio di svilire questa carta-valore è altissimo. Perché anche se nell’ultimo anno i conti di Royal Mail sono migliorati dopo un lustro di sangue – internet ha portato le mail, che hanno fatto diminuire le lettere (un terzo in meno negli ultimi cinque anni) ma ha anche portato il commercio elettronico che ha aumentato i pacchi da consegnare – sarà sempre meno vero che quanto pagato dal suddito britannico per un francobollo corrisponda all’erogazione di un servizio garantito dallo Stato. Quindi un pezzo dell’opera di sir Rowland Hill si sgretola, in quella che sembra un’erosione inarrestabile.

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