Il dono dell'Appeso

Il dono dell’Appeso

Strumenti per la trasmissione del sapere. Custodi di segreti inaccessibili. Realtà e mito s’intrecciano indissolubilmente nella storia delle rune, considerate dai popoli nordici l’origine della conoscenza e veicolo del potere magico

di Federico Bottigliengo

Il nome

Rún e fuþark sono i due nomi chiave della grafia nordica. Il primo indica il singolo segno dell’alfabeto norreno e significa ‘segreto, mistero, sussurro’; il secondo, fuþark (il suono þ corrisponde al th inglese), si riferisce all’alfabeto vero e proprio ed è un acronimo formato dalla sequenza dei primi sei segni che lo compongono (fehu, uruz, þurisaz, ansuz, raido, kaunan), secondo la successione tradizionale attestata per la prima volta sulla Pietra di Kylver, proveniente dall’isola di Gotland, nel sudest della Svezia, e datata 400 a.C. Originariamente ventiquattro, il numero dei caratteri variò nel corso dei secoli, aumentando fino a trentatré o scendendo a sedici. Usate diffusamente durante il Medioevo, le rune furono definitivamente soppiantate dai caratteri latini nel XV secolo; soltanto nell’isolata provincia svedese di Dalarna rimasero a fianco delle lettere latine fino al Novecento, creando un originale alfabeto ibrido.

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Il mito

Il dio Odino aveva già pagato un occhio della testa – letteralmente – un sorso d’idromele attinto alla fonte della saggezza, ma nessuno avrebbe immaginato fino a dove si sarebbe spinto per ottenere la conoscenza delle rune. «Lo so io, fui appeso al tronco, sferzato dal vento per nove intere notti, ferito di lancia e consegnato a Odino, io stesso a me stesso, su quell’albero che nessuno sa dove dalle radici s’innalzi. Con pane non mi saziarono né con corni mi dissetarono. Guardai in basso, feci salire le rune, chiamandole, e caddi di là». Il passo, breve e oscuro, corrisponde alla prima parte del Rúnatal (‘Dissertazione sulle rune’), sezione del componimento poetico Hávamál (‘Discorso di Hár’), giunto a noi grazie a un unico manoscritto, il Codex Regius dell’Edda Poetica.Nel racconto epico Odino si sacrifica, appendendosi a un albero – il grande frassino Yggdrasil che regge tutti i mondi – e trafiggendosi con una lancia, rispecchiando con ciò i sacrifici umani a lui tributati dai popoli germanici pre-cristiani: un motivo che riflette le iniziazioni sciamaniche, che permettevano l’acquisizione di poteri soprannaturali attraverso rituali di morte e rinascita.

Il Codex Regius

Copenhagen, 21 aprile 1971. Una nave parte dalla capitale danese, solcando le acque dei mari del nord, con destinazione Reykjavik. A bordo, scortato da un plotone dell’esercito danese, un manoscritto di enorme valore, il Codex Regius dell’Edda Poetica: quarantacinque fogli di pergamena ben conservati e privi di miniature – a parte qualche disegno di testa d’uomo, drago e serpente a fondo pagina – contenenti una raccolta di ventinove canti eroici e religiosi, il corpus principale della mitologia nordica. Il testo, redatto in norreno da autore anonimo, risale a poco dopo il 1250, ma i poemi si basano su originali del X secolo, cioè prima che il popolo scandinavo si convertisse al cristianesimo. Il manoscritto fu scoperto – non si sa dove – nel 1643 dal vescovo islandese Brynjólfur Sveinsson (1605-1675), che nel 1662 lo donò al re Federico III di Danimarca; fu quindi conservato nella Biblioteca reale di Copenaghen fino al 1971, quando venne restituito all’Islanda e collocato all’Istituto Árna Magnússonar di Reykjavik. L’Hávamál, ‘Discorso dell’eccelso’, è la seconda composizione Codex Regius, e consta di una serie di poemi di origine e provenienza diverse, tessuti insieme a formare un lungo monologo. A parlare è il dio Odino che discorre di rapporti umani, relazioni tra uomo e donna, rune e canti magici, il tutto inframmezzato da alcuni episodi mitologici.

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La storia

Le rune germaniche hanno dna italico e accento lombardo-veneto. Complice di questa insolita unione l’esercito imperiale romano, che tra il I e il II secolo accolse nelle sue file numerosi mercenari di etnia germanica: il primo contatto avvenne verosimilmente con uno dei rami dell’alfabeto italico settentrionale (nord-etrusco), attestato in alcune iscrizioni dell’area alpina e prealpina. Il pettine di Vimose, trovato nell’isola danese di Funen, reca incisa la più antica iscrizione runica finora attestata (160 d.C. ca.), un nome proprio maschile, Harja, a indicare il proprietario dell’oggetto. Le rune tuttavia non servirono solamente come strumento di comunicazione scritta, ma anche, e soprattutto, come veicolo del potere magico, particolarmente a scopo divinatorio –come confermava lo storico latino Tacito (55-120 d.C.) – oppure per incanalare e trattenere energie soprannaturali dentro oggetti, come afferma minacciosamente la pietra runica di Björketorp (Blekinge, Svezia, VI-VII secolo): «Io, maestro delle rune, nascosi qui rune di potere. Incessantemente afflitto da maleficio e condannato a insidiosa morte sia colui che rompe questo monumento».

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